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Venerdì 11 Marzo, 2016 CORRIERE DEL VENETO -
VERONA
Via olivi
e boschi per far posto
alle vigne «Verona diventa un deserto biologico»
Dalla
Valpantena a Quinzano al
Garda: «Rischio monocoltura, come in Valpolicella»
VERONA C’è
una legge regionale, la numero 6 del 2011, che vieta
l’abbattimento di alberi
di olivo. In teoria. Poi ci sono le deroghe. E così succede che
spianare interi
oliveti sulle colline veronesi, in zone sottoposto a vincolo
paesaggistico, sia
perfettamente lecito. Legale. Tutto per far spazio ad altri
vigneti. Con il
rischio che la provincia di Verona somigli sempre più a una
monocoltura, quella
della vite, con tutto quel che ne consegue in termini di
paesaggio e
biodiversità.
Quello che sta accadendo in questi giorni in contrada Vendri,
vicino Santa
Maria in Stelle in Valpantena, è già successo e succederà in
tutta la fascia
collinare veronese. Arrivano le ruspe, gli olivi vengono
abbattuti o asportati,
il terreno spianato, pronto per l’innesto di nuove vigne.
«Secondo il piano
territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) questa è una
zona vocata alla
coltivazione dell’olivo - rileva Marta Fischer, del Comitato
Valorizzazione
Valpantena - ma molti privati stanno togliendo olivi anche
centenari per sostituirli
con le vigne, come già accaduto da tempo in Valpolicella».
Quando le aree sono vincolate, come nel caso delle colline di
Vendri, è
chiamata a esprimersi anche la soprintendenza per i Beni
architettonici e
paesaggistici. Ma spesso capita - ed è questo il caso - che non
lo faccia
facendo intervenire il silenzio assenso. Così un’area che la
stessa commissione
paesaggistica comunale definisce nella sua istruttoria «di non
comune bellezza
sia per la singolarità dell’aspetto vegetazionale e faunistico
sia per la
presenza di antiche contrade medievali di notevoli costruzioni
rurali e di
bellissime ville cinquecentesche» venga sbancata per lasciar
posto alle vigne,
con l’unico vincolo di mettere a dimora, tra un filare e
l’altro, alcuni alberi
di ciliegio. «Oggi purtroppo l’olivo rende poco, quindi c’è la
tendenza appena
possibile a trasformare gli uliveti in vigneti. È un’esigenza di
mercato, che
può essere anche comprensibile, ma che comporta gravi perdite di
paesaggio e di
biodiversità», rileva la naturalista Paola Modena. Una spinta
che in pochi
hanno provato a fermare: tra questi il Comune di Mezzane, che ha
approvato una
variante al piano regolatore che prevede la salvaguardia
assoluta degli
oliveti. «Ma non è una battaglia che si può lasciare ai pur
volenterosi sforzi
dei singoli Comuni», rileva la naturalista.
Non sono solo gli oliveti a sparire per far posto alle vigne.
Qualche tempo fa,
l’associazione Il Carpino portava l’esempio di un’area in via
Are Zovo, sopra
Quinzano, parte di una zona di «prati aridi» che in dialetto
vengono indicati
con il nome di «vegro»: suoli molto poveri, con un substrato
attivo di poche
decine di centimetri. «Qui, ai lati della strada, poco prima
della Costa del
Buso, una fresa frantuma di giorno e di notte un metro di roccia
polverizzando
così milioni di anni di storia geologica», scrivevano Mario
Spezia e Massimo
Dall’O de Il Carpino. Stessa sorte subivano i manufatti
dell’uomo: i
caratteristi muretti a secco, le antiche mulattiere di
collegamento, le
canalizzazioni in marmo. Anche qui per far posto a nuove viti,
che completano
l’opera della cementificazione che ha sfigurato negli anni
Ottanta borghi
rurali come Negrar e Grezzana e vanificano l’avanzata dei boschi
di roverella,
orniello e carpino nero. «Ci si chiederà cosa c’entra il terroir
con il vino
ottenuto con i metodi descritti - l’amara conclusione
dell’associazione - nel
frattempo la collina veronese è pressoché scomparsa. Per sempre.
Trasformata in
un deserto biologico come la sottostante pianura, in cui vivono
due o tre
colture e tutto il resto è stato fatto scomparire».
Il problema non riguarda nemmeno solo l’area del Valpolicella.
Nell’entroterra
gardesano vengono segnalati numerosi sbancamenti. Nel Comune di
Peschiera,
negli scorsi giorni, è stato completamente raso al suolo un
bosco di gelsi, in
vista dell’impianto di nuovi filari di Lugana. Come non
bastassero di danni
della futura Tav, il cui tracciato attraverserà proprio queste
colline
moreniche. «Altro che Tav, questi signori hanno distrutto uno
degli ultimi
luoghi naturali della zona del Lugana», ha denunciato su
Facebook Carlo
Veronese, il direttore del Consorzio del Lugana. Si parla di
vino, ma passa
davvero la voglia di brindare.
Alessio Corazza
Domenica 13 Marzo, 2016
CORRIERE DEL VENETO -
VERONA
«Troppe
viti? Il paesaggio evolve.
Ma il vero rischio è l’abbandono»
Il
professionista: «Non si può
chiedere di tenere gli olivi se non rendono più»
VERONA Che
la provincia di Verona stia andando sempre più verso una
monocoltura della vite
è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti. Tutto questo è un
male? Secondo
molti, sì. Ne va della biodiversità e del paesaggio, che rischia
di diventare
sempre più monotono. Il Partito democratico convocherà a breve
una commissione
in Comune proprio per affrontare questo tema perché «senza
vincoli
pianificatori la legge nazionale e regionale di tutela è carta
straccia»,
sostiene la consigliera Elisa La Paglia. Ma c’è chi porta avanti
punti di vista
differenti.
In risposta a un articolo del Corriere di Verona , uscito
venerdì, che preso in
esame alcuni casi eclatanti, come l’abbattimento di alcuni
oliveti in
Valpantena (contrada Vendri), lo sbancamento di alcuni terreni
sopra Quinzano,
il disboscamento di aree nell’entroterra gardesano, il tutto per
far posto a
nuovi vigneti, un dottore in scienze forestali e ambientali ha
scritto una
approfondita disanima della situazione a Verona.
La tesi di partenza di Eugenio Cagnoni, libero professionista di
San Martino
Buon Albergo che si trova spesso a fare consulenze per chi deve
impiantare
nuovi vigneti, è che il paesaggio è dinamico. Così,
l’estirpazione degli ulivi
in favore dei vigneti non è necessariamente da condannare, anzi:
«L’oliveto è
una coltura agraria condotta da un’azienda agricola ossia
un’impresa - scrive
Cagnoni - condizionare un’impresa a dover immobilizzare il
proprio capitale
fondiario in un investimento che in quel periodo magari non
rende con
conseguente rovina di quell’impresa, abbandono del territorio e
via via fino ai
ben noti dissesti idrogeologici».
Allo stesso modo, Cagnoni smentisce - dati alla mano - che i
boschi nei nostri
territori si stiano riducendo. Il rapporto statistico 2009 della
Regione Veneto
certifica un aumento della superficie forestale, dal 1980-83 al
1998-99, di
25mila ettari. I numeri sono ancora più eclatanti se si
considera una forbice
più ampia, dal 1954-55 al 2000, come hanno fatto Regione Veneto
e Iuav di
Venezia nella pubblicazione «Evoluzione dei Boschi Veneti»:
nella sola
Lessinia, i boschi sono cresciuti di 18mila ettari, per la
maggior parte nella
fascia collinare (30-800 metri). Il tutto a scapito di superfici
un tempo
coltivate.
Insomma, se pensare «a colline interamente rivestite dalla
monocoltura della
vite e sicuramente sbagliato», lo sarebbe allo stesso tempo
auspicare «una
selvaggia monotonia paesaggistica ed ecologico-funzionale di
interi monti e
versanti tutti uguali a loro stessi perche ricoperti da boschi»,
condizione che
sarebbe per altro «il frutto dell’abbandono con gravi e
conseguenti rischi
idrogeologici come gia ben rilevato in moltissime altre parti
del Veneto e
d’Italia».
Secondo Cagnoni, serve un’evoluzione culturale: «È giunto il
momento di parlare
di qualità paesaggistica ossia di come permettere all’economia
di trovare le
risorse per gestire il paesaggio in modo serio ed ambientalmente
sostenibile
pur garantendo il buon sostentamento delle aziende». Non opporsi
all’avanzata
della vite, quindi, ma studiare ed analizzare la realtà
arrivando a fornire
indicazioni pratiche o linee guida per un paesaggio agricolo piu
ricco e
complesso come ad esempio l’arricchimento di siepi campestri
lungo i margini
dei campi od una posa diffusa di alberi ed arbusti che movimenti
i rigidi
poligoni dei vigneti adagiati sui versanti». Ma perché ci si
arrivi «la
politica tutta, a partire dal livello regionale in seno alla
quale si trova la
competenza paesaggistica, deve iniziare ad attivarsi su questo
tema».